La Loggia prende il nome dall’affresco della ninfa Galatea ad opera di Raffaello Sanzio che la dipinse con i tratti del viso delicati, in contrasto con il corpo rigoglioso, trasportata sull’acqua in un cocchio formato da una conchiglia trainata da delfini e intorno una festa di tritoni, amorini e nereidi. La loggia fu affrescata da diversi artisti. Il primo fu Baldassarre Peruzzi, che nel 1511 affrescò sulla volta l’oroscopo di Agostino Chigi. Nell’inverno 1511-1512 Sebastiano del Piombo, uno dei maggiori talenti pittorici veneziani, dipinse le scene mitologiche delle nove lunette con varie scene tratte delle Metamorfosi di Ovidio. La decima fu decorata da Peruzzi con una gigantesca Testa di giovane, che la leggenda voleva fosse opera del grande Michelangelo Buonarroti.
Sono i primi anni del 1500 e Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti sono considerati i due più illustri pittori in circolazione a Roma. La leggenda narra che Michelangelo, estremamente curioso di esaminare come procedevano gli affreschi di Raffaello, visto che quest’ultimo non permetteva a nessuno di vedere il suo lavoro, riuscì ad eludere la sorveglianza dei custodi travestendosi da venditore e distraendo i guardiani con della mercanzia. Una volta entrato nel palazzo durante una pausa dei lavori, egli si trovò di fronte alle pareti semi-affrescate e potè finalmente ammirare, anche se per pochi istanti, il lavoro del rivale. Non potendo resistere alla tentazione, prese un pezzo di carbone e disegnò così, senza alcun colore, una bellissima e gigantesca testa, prima di sgattaiolare via. Quando Raffaello, ritornando al lavoro, vide il disegno, capì che solo la mano di Michelangelo poteva aver prodotto un’opera di tale maestria e, sebbene arrabbiato per quella intrusione, non ebbe la forza di cancellarlo, anzi, ordinò che nessuno lo toccasse.
Sebastiano del Piombo quindi affrescò su una parete una grande figura di Polifemo, lo sgraziato innamorato di Galatea, originariamente nudo e poi per decenza rivestito da una vestina azzurra, mentre Raffaello, con riferimento alla stessa leggenda, decorò uno dei campi parietali con la leggiadra figura di Galatea, la bella ninfa colta tra gli abitatori del mare mentre si allontana dal suo corteggiatore su un fantastico cocchio tirato da delfini.
Intorno, in epoca successiva, furono dipinti paesaggi seicenteschi attribuiti al Dughet. Per le altre opere di Raffaello a Roma, visita il sito dei Musei Vaticani.